Riporto una riflessione di un gruppo informale di Perugia
La necessità del silenzio

Oggi, guardando in tv la messa officiata dal papa, in più di un’occasione mi sono soffermato a riflettere sullo sfarzo non solo della cerimonia in sé, quanto piuttosto dei particolari. Molto oro, sintomo e testimonianza del divino, coreografie di lettura difficile, il solenne latino. Se Gesù ha chiamato Dio Padre avvicinandoLo a Sé, l’uomo con la sua teologia, umana e mai divina, Lo ha relegato in un empireo irraggiungibile. Se Dio è lontano, Lo è Cristo e lo è la chiesa – corpo mistico di Cristo – e lo è il pontefice. La distanza viene sancita da un linguaggio arcaico, incomprensibile ai più, solenne, ma non prossimo. Volutamente.
Il fedele può sbalordirsi di fronte al luccichio degli ori, alla maestà ieratica dei sacerdoti di vario ordine e grado, ma perde lo Spirito. Lo perde guardando. Lo perde ripetendo formule incomprensibili sedimentate nei secoli. La fede si riduce ad atto di obbedienza, la libertà che lo Spirito ha di ispirare si scioglie nella meccanica ripetizione di parole che nel loro ricorrere perdono ogni senso e non conducono alla meditazione.
In una tale ottica il silenzio in quanto vacuità assume una valenza negativa. Ma è nel vuoto che trova posto il pieno. La vacuità quando è vissuta con consapevolezza è viatico verso l’accoglienza della Parola di Dio, è la disposizione umile ad essere permeati dallo Spirito. Nel vuoto, una volta pacificato il moto ondoso della coscienza risplende la scintilla del divino, ma bisogna fare silenzio. Bisogna saper fare silenzio.